
"la timidezza delle chiome" di Pietro Maroè
Da un particolare angolo visuale rappresentato dalla cima degli alberi, con osservazione lenta ed al tempo stesso attenta e sensibile, si riescono a scorgere, stando tra le chiome, aspetti e fenomeni che inducono non solo a riflettere su di essi, in quanto tali, ma anche a raffrontarli con quelli propri che animano la vita degli uomini.
Questa la chiave di lettura del libro “La timidezza delle chiome”, con cui l’autore ci offre un nuovo modo, evidentemente più consapevole, di percepire noi stessi ed il mondo che ci circonda. L’autore esordisce con una riflessione semplice ed al contempo profonda e dolce, così modulata: “Mia nonna parlava ai fiori del suo vivaio, e mi ripeteva che loro capivano e crescevano più belli. Il tempo e la scienza le hanno dato ragione”.
Ebbene, proprio queste parole introduttive esprimono l’essenza stessa del libro in cui l’esperienza empirica si fonde con la ricerca scientifica.
Il titolo del libro, invero, rappresenta, come molti già conoscono, uno dei fenomeni più affascinanti della vita degli alberi le cui chiome evitano di toccarsi - da qui la timidezza - creando in tal modo un’atmosfera molto suggestiva, precisamente magica come definita dall’autore, che consente di ammirare con il naso all’insù “il motivo geometrico del contrasto tra la luce e le chiome”.
Quasi, verrebbe da pensare, come se gli alberi avessero fatto proprio il noto aforisma “La mia libertà finisce dove comincia la vostra” del celebre pacifista, vincitore del Premio Nobel per la pace nel 1964, Martin Luther King. Le ragioni di tale fenomeno sono, però, a tutt’oggi sconosciute, benché siano state formulate talune ipotesi, tra le quali la più semplice, come osserva l’autore, è rappresentata dall’esigenza di “ottimizzazione della luce disponibile, per fare in modo che ciascuna abbia lo spazio per vegetare e crescere”.
Su tale premessa, tuttavia, l’autore si chiede come facciano le chiome a sapere con esattezza e precisione millimetrica il perimetro delle altre chiome così da rispettarlo.
A tale quesito e sul rilievo più generale secondo cui le piante, diversamente dall’uomo ed alla sua visione ristretta del mondo, hanno sensi alternativi, l’autore offre, alla luce di articolate riflessioni, una risposta suggestiva che vede gli alberi interagire tra loro anche al fine di trovare accordi ”sulla maniera in cui crescere ed utilizzare spazio e risorse”.
Oltre a tale fenomeno che, come visto, ha dato vita al titolo del libro, l’autore, grazie al suo costante contatto con gli alberi, fatto anche di cure apprestate, analizza altri aspetti del modo in cui essi si comportano, per raffrontarli con quelli propri dell’uomo.
Da tale raffronto, l’autore conclude auspicandosi che l’uomo possa uscire dalla sua attuale condizione compulsiva e frenetica, per ritrovare con pazienza i giusti tempi, fatti anche di attese, così come fanno con ottimismo, saggezza e lungimiranza gli alberi che diventano, quindi, in tal senso maestri.
Anche questo libro ha il pregio di porsi nel solco dell’orientamento, delineatosi sopratutto negli ultimi anni, grazie all’opera di autori come lo scienziato Stefano Mancuso, che stemperando una visione squisitamente antropocentrica del mondo che ci circonda, offre un modo nuovo di osservare il mondo vegetale che consenta, cioè, di coglierne l’insita intelligenza ed al contempo l’insita sensibilità.