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L'oro dei Maya: il futuro del Guatemala è negli alberi

di Chiara Nardinocchi

 

La storia del Guatemala affonda nella terra. È la terra a determinare ricchezza o sventura. Per la terra si è versato sangue. Sulla terra si basano gli accordi di pace che nel 1996, dopo 36 anni di guerra civile, hanno fatto deporre le armi a esercito e guerriglieri.

E proprio dalla terra bisogna partire per raccontare la storia della lotta di una famiglia (che è quella dell'intero paese) per preservare il territorio e le comunità indigene.

Perché in Guatemala la salvaguardia ambientale va di pari passo con la protezione della fascia più fragile della società: i Maya. Nonostante rappresentino più del 40% della popolazione, i Maya nelle diverse fasi storiche del paese, sono stati costantemente discriminati e depredati dalle terre. All'origine del conflitto civile c'era, tra le altre, la richiesta da parte di queste comunità di politiche agrarie più eque, che smettessero di favorire le multinazionali della frutta e lo sfruttamento delle terre per pascoli e attività estrattive.

Virgilio Galicia ha 31 anni e insegna spagnolo nella scuola della sua comunità: Nuevo Horizonte. Ha vissuto parte dell'infanzia nella foresta dove i genitori, Don Casildo e Donna Thelma, si nascondevano dalle rappresaglie dell'esercito assieme ad altri ribelli.

Dopo la fine della guerra civile il loro gruppo, investendo parte degli indennizzi dati dal governo agli ex combattenti, ha fondato la comunità di Nuevo Horizonte.

Ma invece di celebrare la posa della prima pietra, al centro dell’insediamento che oggi conta circa 500 nuclei familiari, fu piantato un albero.

"Sono arrivato in queste zone nel 1982 ed era tutta foresta - racconta Don Casildo Galicia- Durante il conflitto, assieme ad altri compagni di battaglia, tra gli obiettivi avevamo anche la protezione degli alberi di Cedro e Caoba".

"I Messicani infatti attraversavano il confine e venivano a fare incetta di legname prezioso. Già da allora proteggevamo il cedro e oggi mio figlio fa la stessa cosa: aiuta a piantarlo nelle aree colpite da deforestazione, dove l’avanzata di pascoli e monoculture ne minaccia l’esistenza".

Don Casildo Galicia

Oltre a insegnare, Virgilio Galicia ha fondato assieme ad Andrea Pesce, romano, classe 1994, zeroCO2, un'azienda che si occupa di riforestazione etica e sostegno alle popolazioni indigene.

Quando parla del lavoro di suo figlio al fianco delle comunità maya, l’ex guerrigliero si lascia sfuggire una battuta sarcastica: “Perché lavora?”. Poi con un moto d’orgoglio aggiunge: “Stanno dimostrando al governo che proteggere la terra e dare strumenti alla popolazione per sostentarsi è possibile e questo sta portando cambiamenti oggettivi nella vita delle persone”.

 

Narcos e multinazionali: la foresta che scompare

Dal 2001 ad oggi il Guatemala ha perso il 20% delle superfici boschive. Le cause della distruzione del patrimonio ambientale sono molteplici. Per decenni il governo di Guatemala City ha lasciato che parte delle terre finissero in mano alle multinazionali prima del caffè, poi della frutta e negli ultimi tempi della palma da olio africana.

L'ingerenza dei giganti del food ha segnato la storia del paese. Già nell'800 il caffè ha reso il paese dipendente dalle esportazioni facendo arricchire solo una parte molto ristretta della società, perlopiù di etnia meticcia. Ma il caso più emblematico di quanto la sorte di una nazione sia stata legata alle multinazionali è quello della United fruit company (poi Chiquita brands international) che negli anni '50, minacciata dalla riforma agraria avviata nel paese dal primo governo eletto democraticamente, riuscì con l’appoggio degli Stati Uniti, a riportare un presidente autoritario e accomodante nei confronti dei grandi marchi.

 

Fortemente impoverito da anni di sfruttamento, il Guatemala deve fare i conti anche con i narcos che hanno trasformato l’America Centrale in una enorme scalo internazionale della droga proveniente dai paesi sudamericani. E per farlo hanno deforestato le aree confinanti con il Messico.

In base alla ricerca del 2017 “Un'analisi spazio-temporale della perdita di foresta legata a traffico di cocaina in America Centrale” di Steven Sesnie del Fish and Wildlife Service degli Stati Uniti, il Guatemala è il paese che ha subito la perdita più consistente di foreste a causa dei cartelli della droga.

 

 

Nella regione del Petén, al confine con il Messico, ettari di foreste vengono bruciati per coltivare oppio e marijuana o per creare piste d’atterraggio per i velivoli che dalla Colombia devono arrivare negli Stati Uniti carichi di cocaina.

‘Narcos que queman la tierra’ (Narcos che bruciano la terra), li chiamiamo proprio così”

spiega Don Casildo Galicia che indica da lontano un’area dove i narcotrafficanti ormai agiscono deliberatamente bruciando appezzamenti di terra che fanno parte di aree protette. Quelle stesse zone dove negli anni '80, assieme ai suoi compagni di lotta difendeva i cedri dai contrabbandieri, oggi vengono date alle fiamme per fare spazio ad allevamenti, piste d’atterraggio e alle facendas.

Il tutto accade sotto gli occhi del governo che, sebbene abbia avviato delle politiche per salvaguardare le aree protette, non riesce ad essere incisivo a causa di una lunga tradizione di corruzione e connivenza. “Lo stato - continua Galicia - non permette al singolo di accumulare terre. Questo però non vale per aziende e narcotrafficanti. Non è difficile capire perché la popolazione sia così povera”.

 

 

Piantare un seme

In un contesto in cui deforestazione e impoverimento vanno di pari passo, donare un albero è un atto tanto rivoluzionario quanto potenzialmente risolutivo. L’azienda zeroCO2 è nata nel 2019 dall'incontro tra Virgilio Galicia e Andrea Pesce. Quest’ultimo è arrivato in Guatemala come cooperante, ma una volta sul campo ha capito che attraverso gli alberi si poteva costruire un futuro per intere comunità isolate e impoverite dal disboscamento dovuto ai pascoli e alle coltivazioni intensive.

In circa 2 anni, solo in Guatemala, sono stati piantati più di 368mila alberi. L'idea è di creare una fonte di reddito per le comunità più povere non solo donando gli alberi, ma fornendo anche strumenti e conoscenze necessarie per prendersene cura e creare un profitto dalla vendita di frutta e legname.

 

"Seguiamo gli alberi che piantiamo, dalla scrupolosa selezione delle sementi, per tutta la crescita in vivaio, fino alla consegna alle comunità contadine locali coinvolte nel progetto [...] In collaborazione con le università locali, ci impegniamo a supportare le comunità partner con corsi su agricoltura organica e gestione sostenibile della terra", si legge nella descrizione dell'azienda.

La strategia è quella di puntare sulla permacultura, un sistema che mette al centro dei bisogni delle popolazioni un’agricoltura sostenibile in grado di riprodurre ecosistemi naturali. "Il nostro obiettivo è supportare le comunità con le quali lavoriamo nella creazione di colture pluriennali caratterizzate da bassi consumi di energia fossile e una forte coscienza sociale".

 

La profezia dei Maya

 

In un paese in cui la terra rappresenta la maggiore fonte di ricchezza, la metà della popolazione viene sistematicamente discriminata. I discendenti dei Maya sono coloro che più pagano il prezzo di una gestione agraria dissennata. Non è un caso che il tasso di povertà e analfabetismo sia molto più alto tra le popolazioni indigene rispetto alla media nazionale.

Sprovviste dei mezzi per sopravvivere, intere comunità hanno ceduto i loro terreni con la speranza di arricchirsi. Ma non di rado chi vende non ha le conoscenze di base per investire il denaro o creare nuovi business, quindi è costretto a dover bussare alla porta dell'azienda che ha comprato la sua terra per elemosinare un posto di lavoro.

“C’è una forte pressione sia sociale che politica per vendere alle multinazionali" spiega Virgilio Galicia.

Non sorprende che chi come il Ministerio de Agricultura, Ganadería y Alimentación (MAGA) incaricato di sorvegliare e proteggere il patrimonio boschivo e alimentare sia rimasto inerte di fronte alla devastazione perpetrata dai giganti del food e dai narcotrafficanti. Il Guatemala è al 149° posto (su 179) nella lista del Corruption perception index: negli ultimi vent’anni ha perso più di 80 posizioni.

Il lavoro più grande, per sovvertire la rotta è appunto culturale. Per questo all’interno del progetto di riforestazione non si può tralasciare anche la formazione delle comunità cui vengono destinati alberi da frutto e di foresta.

Eppure, qualcosa si muove. Il seme piantato da zeroCO2 ha attecchito mostrando la possibilità di creare ricchezza per chi generalmente ne è escluso. Una ricchezza che si traduce anche in avanzamento sociale.

Dare ai campesinos gli strumenti per sostentarsi equivale anche a disinnescare la miccia che da tempo tiene il paese col fiato sospeso e che il Covid ha alimentato allargando la forbice sociale ed evidenziando le differenze tra ricchi e poveri.

L’intensificarsi delle manifestazioni di protesta contro il governo sempre più corrotto e alla mercé delle multinazionali e l’inasprirsi degli scontri tra popolazioni indigene e polizia portano con sé lo spettro di un recente passato.

“Se ripenso agli anni della guerra civile - conclude Don Casildo - mi rendo conto di aver partecipato alla storia, di aver vissuto anni importanti. Ma non posso dimenticare i compagni che ho dovuto seppellire nella foresta. Una cosa posso dirla: non abbiamo combattuto invano. Sicuramente non sono stati raggiunti gli obiettivi che ci eravamo prefissati, ma alcuni spazi li abbiamo conquistati. E sebbene ormai viviamo in un mondo guidato dal profitto, non possiamo dimenticarci di proteggere chi non ha nulla. E per farlo abbiamo bisogno di un paese che si occupi di welfare e che protegga i suoi alberi”.

 
https://www.repubblica.it

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Pubblicato da Gianclaudio Iannace