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Normativa vigente in tema di smaltimento degli sfalci e delle potature

Prima di focalizzare l’attenzione sulla vigente disciplina in tema di smaltimento degli sfalci e delle potature, alla luce dei chiarimenti offerti dalla recente Circolare del Ministero della Transizione Ecologica del 14 maggio 2021, gioverà procedere ad un breve excursus della normativa più recente che ha assimilato, in modo altalenante, detti residui alla categoria dei “rifiuti”, ritenendoli conseguentemente assoggettabili o meno, a seconda della classificazione, alla relativa normativa.

In linea di premessa generale, va subito detto che il frammentario quadro normativo in materia di tutela ambientale è stato ridefinito per effetto del D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Testo unico ambientale o Codice ambientale), le cui “Disposizioni generali” in materia di gestione dei rifiuti previste nella Parte IV, sotto il Titolo I, Capo I, dagli artt. 177-194 bis, rappresentano la normativa di riferimento.

Tale normativa, tuttavia, è stata modificata in modo particolarmente incisivo dal D.Lgs. 3 dicembre 2010 n. 205, di recepimento della direttiva europea 2008/98/CE, grazie alla riformulazione ovvero all’inserimento di singole norme in un contesto che, se pur immutato nella sua struttura previgente, è risultato, per buona parte, sostanzialmente diverso nei contenuti.

Più precisamente, l’art. 183, comma primo, del Testo unico ambientale (T.U.A.), ha previsto la nozione di “rifiuto” ricorrente nei casi in cui non sia ravvisabile una delle deroghe classificate ab origine in due categorie, aventi tale connotazione, come contemplate rispettivamente dai successivi artt. 184 bis (sottoprodotti) e 185, nonché dall’art. 184 ter che, diversamente, ha previsto tipologie di cessazione della qualifica di “rifiuto”, per effetto di attività di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, quindi solo con classificazione ex post, sempre che vengano rispettate le condizioni indicate.

Per ciò che concerne più propriamente gli sfalci e le potature, per effetto della riformulazione dell’art. 185, così attuata, questi ultimi sono stati classificati come “non rifiuti” tout court e, quindi, esclusi dall’ambito di applicazione della normativa prevista per i “rifiuti”.

Invero, l’art. 185 T.U.A., come riformulato a seguito del D.Lgs. n. 205 del 2010, nel recepire l’analoga previsione contenuta nell’articolo 2 della direttiva quadro 2008/98/CE - ha escluso dal campo di applicazione della normativa in materia di rifiuti: “paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso utilizzati in agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l’ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.

Tale previsione, però, è stata sostituita inizialmente dall’articolo 41, comma primo, della legge 28 luglio 2016, n. 154 ed in seguito dall’ articolo 20, comma primo, legge 3 maggio 2019, n. 37, prevedendo, quindi, una esclusione dal campo di applicazione della disciplina in materia di rifiuti per : “f) …la paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuati nell'ambito delle buone pratiche colturali, nonché gli sfalci e le potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico dei comuni, utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.

Tuttavia, detta disposizione, attesa la sollevata contestazione in sede comunitaria ed allo scopo di armonizzarne la disciplina, è stata ulteriormente modificata, in virtù dell’articolo 1, comma 13, lett. a), del D. Lgs. 3 settembre 2020, n. 116, di attuazione della direttiva (UE) 2018/851.

L’attuale formulazione dell’articolo 185, comma primo, lettera f), come innanzi citato, pertanto, prevede che sono esclusi dal campo di applicazione della disciplina in materia di rifiuti: “... la paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature effettuati nell'ambito delle buone pratiche colturali, utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana”.

Inoltre, con il medesimo D. Lgs. n. 116 del 2020 sono state integrate le definizioni di rifiuto urbano, inserendo, all’articolo 183, comma primo, lettera b-ter), punto 5, “i rifiuti della manutenzione del verde pubblico, come foglie, sfalci d'erba e potature di alberi, nonché i rifiuti risultanti dalla pulizia dei mercati”.

Alla luce della vigente normativa, quindi, non costituiscono rifiuti soltanto quelli che derivano da buone pratiche colturali, costituiti da paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso, semprechè siano riutilizzati in agricoltura e in silvicoltura o per la produzione di energia da biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi.

Inoltre, come precisato dalla norma di cui al citato art. 185, primo comma, lettera f), di cui innanzi, l’impiego dei materiali deve avvenire in processi che non arrecano danno all’ambiente o mettono in pericolo la salute umana.

Sotto tale ultimo profilo, invero, è appena il caso di ricordare che detto art. 185, nell’elencare i materiali non considerati rifiuti per la sussistenza delle specifiche condizioni sottese all’espletamento di buone pratiche, è finalizzato ad assicurare proprio la massima tutela ambientale e sanitaria.

Tuttavia, nei casi in cui non ricorrano le condizioni previste per la configurabilità di una delle deroghe di cui all’articolo 185, primo comma, ad esempio in considerazione dell’impiego dei materiali indicati in processi diversi da quelli elencati, è possibile qualificare il residuo come sottoprodotto, laddove il soggetto interessato dimostri la sussistenza delle condizioni previste dall’articolo 184-bis citato.

Tali condizioni sono le seguenti: “a) la sostanza o l’oggetto è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; b) è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; c) la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; d) l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana”.

Infine, quando i materiali non siano qualificabili come esclusi o come sottoprodotti ai sensi, rispettivamente, degli articoli 185 e 184-bis, citati o quando ricorrano, comunque, le condizioni previste dall’articolo 183, comma 1, lettera a) del D. Lgs. n. 152 del 2006, i residui devono essere qualificati come rifiuti.

In tali casi, tuttavia, alla luce della diversa e preminente rilevanza di talune caratteristiche, è necessario fare un distinguo fra tre possibili ipotesi: “a) materiali prodotti nell’ambito di una attività di manutenzione del verde pubblico che integrano la definizione di rifiuto e per i quali non ricorrono le condizioni previste dagli articoli 185 e 184-bis: in tale ipotesi i residui devono essere qualificati come rifiuti urbani ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera b-ter, punto 5; b) materiali prodotti nell’ambito di una attività di manutenzione del verde privato posta in essere da una impresa, che integrano la definizione di rifiuto e per i quali non ricorrono le condizioni previste dagli articoli 185 e 184-bis: in tale ipotesi i rifiuti devono essere qualificati come rifiuti speciali, non risultando l’attività in questione ricompresa tra quelle individuate nell’allegato quinquies; c) materiali prodotti nell’ambito di una attività di manutenzione del verde privato “fai da te”, posta in essere da privati: in tale ipotesi i residui devono essere qualificati come rifiuti urbani ai sensi dell’articolo 183, comma 1, lettera b-ter, punto 1”.

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Pubblicato da Gianclaudio Iannace